Incontriamo la fotografa Gaia Franciosi


di Nicolò Occhipinti

Le sue immagini spaziano dai ritratti, al boudoir, al fashion, fino ad arrivare al concettuale, dove spesso soggetto e autore concidono e si esprimono in emozionanti autoscatti. Gaia Franciosi spiega a Rimlight Magazine come nascono le sue fotografie.

Si definisce una persona diretta, che odia la falsità, il perbenismo e l’ostentazione. Ma soprattutto adora la fotografia, “il riuscire a fermare il tempo con un click, immortalando in un’immagine un momento, un’emozione, un’espressione, un sentimento.”

Come hai cominciato a foto­grafare?
Non ricordo un momento esatto in cui ho iniziato: ho sempre fotografato da quando ne ho memoria. Se per inizio si intende il momento in cui ho cominciato a studiare, a sviluppare le mie fotografie e a fotografare a livello artistico, questo risale al 2013.

Fotografi soprattutto per passione o per lavoro?
Lo faccio per passione e per sviluppare miei progetti personali.
Quando, secondo te, una fotografia si può definire fine-art?
Il concetto fine-art è molto complesso da circoscrivere entro confini ben definiti e universalmente accettati. Alcuni fotografi considerano fine-art solo immagini in cui sono stati apportati interventi esterni allo scatto stesso e in cui prevale la grafica o il surrealismo. Io credo che si possa definire fine-art qualsiasi immagine prodotta per scopi artistici e post prodotta. Per esempio modificare il colore di un prato o di un cielo rientra già in questa definizione di fotografia.

Cosa vuoi esprimere con le tue foto?
Attraverso la mia fotografia io esprimo me stessa e il mio sentire, il mio modo di percepire il mondo, i miei sogni, le mie emozioni più nascoste, le mie paure. Non c’è alcun intento, ma solo piena libertà di espressione. Chi guarderà la mia immagine, a seconda del proprio background, della propria cultura visiva e del proprio gusto potrà cogliere o meno ciò che io cerco di esprimere o magari cogliere tutt’altro e va bene comunque. L’importante, credo, sia riuscire ad emozionare.

Quindi, perché sei spesso tu stessa il soggetto delle tue fotografie?
Questa è una domanda ancor più complessa… il discorso è parecchio lungo, ma cercherò di arrivare subito al punto. Prima di iniziare a fotografare “seriamente”, amavo anche farmi fotografare. Quando ho iniziato a fotografare modelle, ho sempre cercato di esprimere me stessa, la mia sfera più intima ed emotiva attraverso i loro volti e i loro corpi, ma ho comunque sentito la necessità di farlo anche attraverso me stessa e la gestione del mio stesso corpo che, più di qualunque altro, può esprimere una mia emozione e il mio vissuto. Diciamo che iniziò tutto per gioco 2-3 anni fa, ma da allora non sono più riuscita ad abbandonare il mio progetto di autoscatti senza volto, che hanno comunque subito nel tempo una evoluzione. Inizialmente infatti ho cercato di ricreare in studio, attraverso la tecnica strobist, la statuarietà del corpo ispirandomi a pose plastiche e i miei autoscatti erano solo in bianco e nero. Poi la mia visione è divenuta unicamente a colori e ho sentito il bisogno di “spostare” il mio corpo in esterna utilizzando la luce naturale, che è quella che preferisco e che più mi rappresenta. Così ho iniziato a sviluppare progetti di Self-portraits in cui cerco tuttora di esprimere con pathos il mio vissuto o i miei drammi o le mie paure o la mia immensa gratitudine alla vita e alla natura. Tra i miei ultimi lavori a cui sono particolarmente legata rientra il progetto di Self-portraits con mio marito (ispirati alla scultura nella storia classica) che è sempre stato il mio più grande sostenitore.
Come organizzi gli autoscatti, dal concept alla post-produzione?
Non ho un rigore logico in cui organizzo i miei autoscatti, come tutte le persone più creative che tecniche. Come ho già detto, l’idea di fondo è sempre il mio corpo senza volto: poi di volta in volta la genesi è diversa. Ci sono volte in cui penso e studio a tavolino determinate pose da inserire in un ambiente che mi ha colpita, oppure cerco successivamente l’ambiente adeguato per esprimere una determinata emozione. Altre volte, come nei miei ultimi autoscatti, ho improvvisato. Ero in Grecia in vacanza con la mia famiglia e girando ho trovato luoghi che mi hanno profondamente colpita. Il giorno successivo sono andata e ho scattato di pancia. Normalmente utilizzo il telecomando; altre volte i 10 secondi di autoscatto. Non c’è mai una regola. L’ispirazione e il cuore mi guidano sempre.

Notiamo una preferenza per i toni freddi. Perché?
Non è facile spiegare la preferenza per un determinato colore e allo stesso tempo è difficile spiegare il perché prediligo i toni freddi. Nella vita reale amo il verde e il giallo. In fotografia amo il blu e il cyano perché si adattano meglio alla rappresentazione drammatica che spesso caratterizza i miei progetti e mi sembra possano esprimere in maniera più coerente queste emozioni.

Come hai sviluppato il tuo stile?
Il mio stile si è delineato dopo numerosi anni di sperimentazioni; mi sono cimentata in tanti progetti diversi con vari tipi di post produzione e alla fine questa continua evoluzione mi ha portata a produrre immagini che mi caratterizzano dal punto di vista stilistico e compositivo.

Quali sono stati tuoi riferimenti artistici, i tuoi maestri?
Devo dire di non avere veri e propri maestri. Quando ho iniziato a fotografare seriamente ho seguito molti workshop di fotografi più o meno famosi e da ognuno di loro ho preso qualcosa e l’ho inserito nel mio percorso artistico. Inizialmente mi sono ispirata ad opere di grandi artisti e ad immagini che mi colpivano, ma recentemente ho trovato una mia dimensione e cerco di farmi influenzare il meno possibile dagli altri, perché ho capito che questo può essere un forte impedimento alla propria piena espressione.

Obiettivi preferiti?
Le mie ottiche preferite sono il 50mm che utilizzo per il 75% degli scatti ambientati nei miei progetti. Poi l’ 85mm che è l’ottica di elezione per i ritratti ravvicinati. Recentemente uso anche il 35mm in alcune situazioni particolari.

Quali strumenti e tecniche usi per la postproduzione?
Camera RAW per sviluppare lo scatto e Photoshop per post-produrlo. Il processo può andare dal ritocco della pelle con separazione delle frequenze e dodge and burn a una serie di azioni sui livelli che varia a seconda del tipo di progetto che sto sviluppando.

Qual è il tuo sogno nel cassetto?
I sogni nel cassetto sono come i desideri. Si esprimono in silenzio, ma non si svelano.

LEGGI L’INTERVISTA COMPLETA SUL N. 9/2016 DI RIMLIGHT MODELS & PHOTOGRAPHERS MAGAZINE handright-22