Intervista al fashion designer e stylist Alberto Messina


di Elena Scalia

Fashion designer e stylist bolognese, giovane talentuoso e più volte premiato nel suo percorso, senza perdere tuttavia la sua umiltà e il suo sense of humor. Alberto parla a Rimlight del suo modo di vedere e creare l’abbigliamento e del suo celebrare ciò che progetta con scatti dal sapore cinematografico.

 

“Che io ricordi, ho sempre avuto qualche tessuto per le mani. La prima azienda di moda l’ho fondata, per gioco, fra i cassetti di mia madre, in cerca di scampoli e ritagli da drappeggiare”, questa sua dichiarazione fa da sola capir molto del progettista di moda e stylist Alberto Messina. Alberto vanta un curriculum chilometrico che di lui rivela una motivazione e una tempra derivatagli da una continua formazione scolastica e sul campo, una serie di titoli, tra cui una laurea in lettere e altri in ambito moda consolidati da un diploma di merito conferitogli dal Miur, e il master in Fashion design che ha frequentando al Campus della Moda, con una borsa di studio per meriti accademici. Dal 2004 al 2009 poi si somma una carrellata di vittorie ai più svariati contest per giovani talenti come il concorso Comon, in collaborazione col MittelModa, che gli consegna il primo premio anche a Cannes per la sua collezione beachwear. Nonostante questi onori e opportunità professionali, Alberto, come dice lui stesso parafrasando il pittore nipponico Hokusai il cui motto era “chi smette di cercare è perduto”, continua a mettersi continuamente in gioco e a lavorare con passione unendo alle sue creazioni un ottimo gusto fotografico.

Nel tuo stile è facile rintracciare uno spiccato senso estetico che si traduce in una moda femminile romantica ma lineare e in una moda maschile che ha un pò di dandisme. Come progettista cosa preferisci tra moda uomo e donna e perché?
La mia formazione si è concentrata più sulla moda femminile, sui banchi di scuola. Infatti, si tende a prediligere lo studio dei capi muliebri, in quanto si considera il gentil sesso il maggior fruitore di questa arte. Negli ultimi anni ho maturato, però, un’attenzione spiccata anche per l’abbigliamento maschile che trovo sia un ramo maggiormente interessante e di forte traino per nuovi stimoli creativi.

La semplicità delle tue creazioni, ravvivata da tessuti materici e da pochi ma mirati dettagli preziosi, nelle foto è interrotta dal modo in cui i capi in molti casi si combinano tra loro… A questo proposito, ti definisci più designer o stylist? Dai più importanza ai capi in se o alla riuscita un pò insolita dello scatto, anche se non sono completamente indossati o con dettagli parzialmente coperti?

Ammetto che esiste una dicotomia di pensiero e di immagine in me. Da un lato mi considero più un designer, in quanto parto sempre dal “foglio bianco” ovvero dall’origine della creazione vera e propria del capo, poichè mi appaga maggiormente dare vita a una nuova proposta che utilizzare solo cose già esistenti e realizzate da altri. Come fashion designer dovrei, pertanto, privilegiare foto da lookbook o catalogo che hanno lo scopo di rendere protagonista l’abbigliamento, di rendere facilmente fruibile il vestito. Tuttavia trovo questo genere di scatto poco interessante e vitale. Vedo anche nella fotografia lo spunto per partire da zero: un servizio fotografico di stampo redazionale, a differenza di una foto di lookbook, mi dà la possibilità di continuare a creare, a mutare, a decontestualizzare, a rendere sempre vivo il mio lavoro, creando non solo con la stoffa, ma anche con le foto una storia, un’emozione. Negli shooting che immortalano i miei lavori cerco sempre di creare un legame empatico con chi andrà ad osservare la fotografia, anche a rischio di non rendere protagonista il capo d’abbigliamento.

Sei tu solitamente che progetti gli shooting fotografici per mettere in luce le tue creazioni o vieni chiamato per adoperare i tuoi abiti e curare lo styling in shooting pensati da altri?
Entrambe le situazioni. Alcune volte vengo chiamato dai fotografi affinché le mie creazioni e la mia esperienza possano essere utilizzate in un determinato shooting fotografico, delle volte sono io che ricerco questo genere di professionista. In entrambi i casi però è il team che deve funzionare senza tralasciare l’impatto che i modelli avranno sul buon esito finale degli scatti. Quando inizio un progetto la prima cosa a cui penso è cosa voglio comunicare; realizzo quindi uno storyboard, un canovaccio, nel quale prende vita la storia che ricreerò a livello di immagini. “Perché la modella o il modello è in tale situazione? Cosa sta facendo?” questi i punti di partenza. Altre volte può essere una location a suggerirmi un possibile sviluppo o una trama: diciamo che ho un approccio non dissimile a quello cinematografico. Credo che questo bisogno quasi di caricaturizzare i personaggi sia nato per distinguermi dall’enorme quan­titativo di immagini che circolano nella rete: mi piace progettare in modo che ogni servizio sia dotato di vita propria e faccia il suo percorso in maniera autonoma, andando a incontrarsi o a scontrarsi con il gusto della gente.

continua…

LEGGI L’INTERVISTA COMPLETA SUL N. 3/2015 DI RIMLIGHT MODELS & PHOTOGRAPHERS MAGAZINE handright-22