Incontriamo Dayana Montesano


di Nicolò Occhipinti

Introspezione, manipolazione delle immagini, contaminazione stilistica e tecnica tra arti tradizionali e digitali caratterizzano il suo originale stile. Incontriamo Dayana Montesano per conoscere il suo percorso artistico.

Inizialmente focalizzata su progetti personali e di nudo artistico, Dayana ha rapidamente conquistato l’attenzione degli esperti di fotografia e vinto numerosi premi internazionali fra cui il MIFA (Moskow International Foto Awards), l’IPA (International Photography Awards) e il TIFA (Tokyo International Foto Awards).

Come hai cominciato a fotografare?
Ho iniziato frequentando l’Accademia di Belle Arti di Roma. Quando mi sono iscritta al corso di fotografia digitale ho cominciato a ragionare diversamente e ad avere un approccio più progettuale nei confronti di questa arte.

Fotografare è per te più una passione o un lavoro?
Spero possa essere entrambe le cose, così da non accorgermi mai di stare effettivamente lavorando: sembra che il lavoro debba andare per forza a braccetto con l’infelicità, la rinuncia e l’alienazione. Mi auguro che la fotografia non diventi mai questo per me e di non doverla mai abbandonare per il gettonatissimo “lavoro vero”.

Quali elementi caratterizzano il tuo stile?
Più che di elementi parlerei di tematiche. Il mio stile a volte varia, variano le cromie e il modo di trattare le immagini in post­­­duzione. Ciò che ricorre spesso nelle mie foto forse sono proprio io: ho lavorato molto con l’autoritratto e spesso ho l’impressione di fotografare me stessa anche quando fotografo qualcos’altro, soprattutto i paesaggi urbani.

Chi sono i soggetti delle tue fotografie?
Sono per lo più persone comuni: io, mio marito, le mie amiche, ma anche alcune modelle, ragazzi e ragazze che mi contattano sul web perchè vorrebbero essere parte dei miei progetti. In ogni caso sono persone con cui instauro una sorta di legame, che può durare anche il tempo di qualche scatto.

Cosa vuoi principalmente comunicare?
Amo molto la psicologia, e questa passione mi porta a cercare di rendere visibile in fotografia ciò che non lo è. Allo stesso modo mi capita spesso di fotografare e creare un progetto in risposta a qualcosa che mi ha infastidita, ad esempio i progetti “Principessa” e “Ultracorpi” sono nati da questo, sono la mia risposta a un mondo sessista che vuole omettere l’intimità della donna e contemporaneamente le impone dei canoni di bellezza, che tendono a destabilizzarne la percezione di sé.

Come trovi l’ispirazione per i tuoi lavori?
L’ispirazione è ovunque, la mia testa viaggia continuamente, anche quando aspetto l’autobus, mi capita di immaginare scenari, progetti, volti. Il più delle volte però è lo star male ad ispirarmi: non parlo del malessere tipico della depressione, ma di quei momenti di sofferenza in cui si riesce ad isolare bene il problema all’interno della mente e a dargli un nome, un volto. Quel tipo di sofferenza diventa fotografia.

Quali sono i tuoi maestri di riferimento?
Amo molto Tim Walker, ma il fotografo di cui mi sono innamorata agli inizi e che mi ha spinta a prendere questa strada è sicuramente Saudek.

Che tipo di illuminazione prediligi?
Amo più di ogni cosa la luce naturale, mi piacerebbe vivere in campagna ed avere uno spazio all’esterno dove sperimentare liberamente, senza il bisogno di grandi spostamenti come invece sono costretta a fare ora.

Quali obiettivi usi di più?
Il mio preferito è il 20mm Canon.

Qual è il tuo approccio alla post-produzione?
Ho cominciato ad utilizzare Photoshop molto prima di iniziare a fotografare, amo la post-produzione ed è sicuramente una parte essenziale del mio lavoro. Ci sono foto che stravolgo completamente, ma soltanto perchè il progetto lo richiede. L’importante è che la fotografia sia esattamente come l’ho immaginata, non importa se ciò avviene in fase di scatto o dopo quattro ore di lavoro su photoshop: il risultato è ciò che conta.

Hai esposto le tue opere in diverse mostre. Quanto è efficace questo strumento di promozione rispetto ad altri, fra cui l’uso dei social media?
Non so dire quanto una cosa sia meglio dell’altra, attraverso una mostra si possono conoscere persone, ma una mostra può generarsi da un contatto sui social. Direi che tutto può essere utile e collegato, anche se spesso ho sentito il bisogno di allontanarmi dai social e tuttora vivo in maniera altalenante la mia presenza sul web.

Quali progetti hai in cantiere?
Nei prossimi mesi vorrei concentrarmi su alcuni progetti di nudo che sto delineando in questo periodo. Ci sono tematiche che ho già affrontato, ma che non ho ancora esaurito, come il rapporto tra l’uomo e ciò che lo circonda.

LEGGI L’INTERVISTA COMPLETA SUL N. 12/2017 DI RIMLIGHT MODELS & PHOTOGRAPHERS MAGAZINE handright-22